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Famiglia rappresentata

A cura di: Renata Tambelli, Giulio Cesare Zavattini

Tratto da Interazioni n° 7

Saggio scritto con fondi 60% Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Interazioni 1, 7, 1996, pp. 161-166

Immagine interiorizzata della famiglia come “insieme” espressione di un mosaico di rappresentazioni interne, non assimilabili e discrepanti rispetto a quelle reali e da considerarsi ad un metalivello più complesso rispetto alle relazioni diadiche e triadiche

Il tema dell’interiorizzazione dei legami o, per meglio dire, la rappresentazione delle relazioni e di come si configura la famiglia soggettivamente nella mente del bambino, costituisce sempre più un oggetto di ricerca privilegiato nell’ambito di quei settori della psicoanalisi che vedono lo sviluppo del bambino all’interno della teoria delle relazioni oggettuali e degli affetti (Greenberg, Mitchell, 1983; Ammaniti, Dazzi, 1990; Shapiro, Emde, 1991; Grotstein, Rinsley, 1994; Tambelli, Zavattini, Mossi, 1995; Stern, 1995).

In questa prospettiva vanno considerati alcuni contributi e concetti specifici.
Il saggio di Cierpka (1993) parla dello sviluppo del sentimento della famiglia che va di pari passo con l’acquisizione di un’immagine interna della famiglia. L’autore postula l’interiorizzazione delle relazioni familiari o della famiglia come “un tutto” a un livello rappresentazionale più complesso del singolo o della diade. Queste interiorizzazioni rendono possibile la costruzione attiva di “rappresentazioni della famiglia” e si inscrivono in un’ulteriore e sovrapposta formazione strutturale intrapsichica.
Analogo, sebbene su posizioni teoriche diverse, é il concetto di represented family di cui parla Reiss (1989), fondato sulla modellistica psicoanalitica e sulla teoria dei modelli operativi interni, che contrappone alla practising family cioè al mondo delle interazioni reali e osservabili, ovverossia i pattern comportamentali tradizionalmente oggetto di ricerca del paradigma sistemico. Secondo questo autore il futuro della ricerca sulla famiglia passa attraverso il confronto e possibile integrazione delle due ottiche e tale prospettiva dovrà influenzare non solo la costruzione di strumenti e procedure metodologiche atte a cogliere le discrepanze e differenze tra i due livelli, ma anche la costruzione di un modello interpretativo della famiglia “in toto” come sistema interiorizzato di relazioni.
Su questi presupposti si potrebbe guardare alla famiglia come una sorta di sistema mentale multidimensionale il cui punto nodale di osservazione diventa l’interfaccia soggettivo/intersoggettivo, interpersonale/intraindividuale determinato da un lato dall’interrelazione continua tra l’individuo e la famiglia, e dall’altro lato dal rapporto mutualmente influenzantisi del modello/i operativo interno della famiglia e la famiglia esterna e reale (Emde, 1994).
Andrebbe inoltre considerato il rapporto tra fantasie inconsce individuali e fantasie inconsce del gruppo familiare considerando queste ultime il risultato di numerosi aspetti, alcuni transgenerazionali, che fanno riferimento alle rispettive famiglie di origine di ciascuno dei genitori, in più generazioni (Nicolò, Zavattini, 1992; Tambelli, 1993; Fonagy, 1994).
Questi brevi cenni indicano che nella prospettiva legata al concetto della “famiglia rappresentata” abbiamo a che fare con un mondo rappresentazionale molto complesso con diversi livelli di organizzazione in cui “il luogo dell’inconscio” non sempre é riconducibile al singolo individuo, ma può trovarsi “esternalizzato”, ossia proiettato, in altre realtà in cui “l’altro”, per esempio la coppia o la famiglia, possono essere delle aree in cui queste dinamiche si “esprimono” (Nicolò, Zavattini, 1992; Norsa, Zavattini, 1994).
Quest’ultimo aspetto che rimanda al tema di diversi livelli di organizzazione del mondo rappresentazionale, ha tuttavia fatto un cammino non piccolo nella trattazione teorica e nella ricerca psicoanalitica di questi ultimi anni (Emde, 1991; Stern, 1989, 1991, 1995; Fivaz- Depeursinge et al., 1994; Zavattini et al., 1996). In questa linea vanno considerati sia il concetto del Sé intersoggettivo di Stern (1985) sia il tema del senso del noi messo in luce da George Klein (1976) e più recentemente da Emde (1990) in cui viene ipotizzata l’esistenza della categoria mentale “Noi” (“We go”), per descrivere il senso dinamico di un modello
operativo interno che permette di discriminare affettivamente ciò che può essere condiviso con l’altro da ciò che non lo é, dando così origine alle categorie mentali e linguistiche dell’Io, del Tu e del Noi.
Stern (1991, 1995) del resto, a proposito della natura delle “represented relationships”, parla dei diversi insiemi delle relazioni rappresentate che si articolano in differenti metalivelli, da quelli, per una donna ad esempio, delle rappresentazioni che riguardano il bambino o le rappresentazioni che riguardano il padre del bambino o la propria madre e così via per le varie combinazioni di diadi sino a quelle che si riferiscono ai “family groupings”, le rappresentazioni della gruppalità familiare che può “esistere” o “essere” condivisa in una famiglia.

Al tema della complessità delle relazioni interiorizzate non é alieno nemmeno il contributo kleiniano che, specie con Bion (1970), ha bene messo in evidenza che il mondo rappresentazionale non é espressione solo di “introiezioni categoriali” come il padre, la madre ecc., ma anche di relazioni tra gli oggetti e di “funzioni” degli oggetti, non cioè la madre, ma la capacità materna di contenimento per esempio, che può anche essere assolta da un padre o da un altro membro della famiglia.

È importante precisare che le posizioni degli autori citati sono accomunate dall’idea che le relazioni oggettuali interne non sono isomorfe né agli “eventi” né ai “ricordi” coscienti, ma “ discrepanti”, sia per opera del processo di astrazione ad essi sotteso, sia per il processo di “refigurazione” (Stern, 1994) da intendersi come un processo che può andare avanti e indietro liberamente tra molteplici schemi che possono essere “ricombinati” tanto da avere varie, se non infinite, possibilità di montaggio.

Un’ottica di questo tipo é oggi assai vicina al concetto di modelli operativi interni introdotta da Bowlby (1988) e ripreso da vari autori (vedi voce vocabolario sui modelli operativi interni di Ortu, 1995).
In questa prospettiva la famiglia rappresentata esprime “una concezione personale della vita familiare” se questa viene appunto intesa come una mappa interna, una organizzazione interna stabile che raccoglie e integra tutte le immagini mentali e le disposizioni relazionali familiari (Sandler, 1991, 1994).

Stern riprende recentemente (1995) il concetto di famiglia rappresentata anche in termini di schemi di “essere con” (Schemas of ways-of-beingwith, 1994), in cui parte dall’idea che queste rappresentazioni siano per la maggior parte basate e costruite dall’esperienza soggettiva di essere con altre persone.

Una rappresentazione di “essere con” é una rete di molti schemi di “essere con” collegati da un tema comune, spesso costituito da un sistema motivazionale (ad es. la nutrizione o la separazione, ecc.) che organizza le reti.
È interessante notare che i terapeuti della famiglia e i terapeuti che si interessano alla continuità transgenerazionale hanno fatto riferimento agli schemi o rappresentazioni relativi alle famiglie d’ origine (Byng-Hall, 1995; Byng-Hall e Stevenson-Hinde, 1991; Fivaz- Depeursinge et. al., 1994), avendo come punto di convergenza il riferimento alla teoria dell’attaccamento e la rivalutazione del mondo intrapsichico.

Le rappresentazioni della famiglia d’origine portano reti di schemi di “essere con” di ciascuno dei genitori che comprendono la propria famiglia d’origine e la sua organizzazione. In altre parole, le interazioni familiari di una generazione forniscono alcune delle rappresentazioni che guidano le interazioni all’interno della nuova famiglia. Queste considerazioni ci riportano alla questione di come sia possibile rappresentare un’unità composita così complessa.

Essi suggeriscono che le interazioni familiari multiple, articolate e complesse vengono riorganizzate in unità quali copioni, miti, leggende, storie e romanzi familiari (family scripts, Stern, 1991). Tali unità sono generalizzazioni e astrazioni di eventi interattivi.
Bing-Hall e Stevenson-Hinde (1991) definiscono un copione familiare come modelli di lavoro condivisi da tutti i membri della famiglia di chi fa che cosa, quando, dove e come in contesti specifici. Il copione familiare sarebbe una rete di schemi di “essere con” che viene condivisa da tutti i membri della famiglia.

Reiss (1989) ha inoltre introdotto i concetti di consuetudini familiari ad esempio i rituali, gli oggetti sacri ecc, che sostituiscono le rappresentazioni come elemento fondamentale della continuità del sistema familiare. In altre parole, agire insieme nel presente sostituisce i ricordi del passato riorganizzati come rappresentazioni.

Si potrebbe quindi avanzare l’ipotesi che poiché ciò che assicura continuità agli schemi relazionali é il ricordo  la storia delle relazioni passate o, come si potrebbe dire in altri termini, la rappresentazione mentale degli eventi interattivi é il deposito della continuità probabilmente i “family scripts”, concorrono in misura notevole a questo processo.

In altre parole a livelli profondi l’esperienza della interiorizzazione e della costruzione di un mondo interno può essere vista organizzata a diversi metalivelli non riconducibili uno all’altro e non autoescludentesi e le rappresentazioni della famiglia sono costruzioni interne, che esprimono la “teoria” che gli individui hanno su di sé e sulle relazioni affettive per loro rilevanti.


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