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Mondo rappresentazionale

A cura di: Marina Parisi

Tratto da Interazioni n° 8

“Il mondo rappresentazionale è una raccolta organica di esperienze passate, di impressioni relativamente durature, una costellazione di percezioni e di immagini, che il bambino coglie dalle sue varie esperienze, e che a sua volta gli fornisce una sorta di mappa cognitiva, una specie di panorama soggettivo nel quale egli può evocare quell’insieme di personaggi e di eventi che costituiscono il teatro della sua esperienza” (Greenberg, Mitchell, 1986)

A) Sebbene il concetto di rappresentazione abbia da sempre suscitato in psicoanalisi interesse clinico e speculazioni teoriche, una sua soddisfacente sistematizzazione ha avuto inizio soltanto dal 1956, quando Sandler fu invitato da Anna Freud ad assumere la direzione di un progetto di ricerca conosciuto come “Hamstead Index Projet”; una ricerca attiva nata con l’obiettivo di rendere più chiari alcuni concetti psicoanalitici. Negli anni che seguirono furono pubblicati numerosi scritti, e tra questi ebbe particolare risonanza il lavoro sul “Mondo Rappresentazionale” di Rosemblatt e Sandler del 1962.

Partendo dai concetti di “mondo interno” e “mondo esterno” come descritti da Freud nell’ultimo capitolo del “Compendio”, gli autori si proposero di andare oltre una differenziazione puramente descrittiva tra “interno” ed “esterno” per avvicinare il problema del mondo del bambino da un punto di vista differente.

Costruirono così un modello teorico in cui la percezione degli oggetti del mondo esterno non avrebbe potuto aver luogo serva lo sviluppo, all’interno dell’io del bambino, di una serie sempre più organizzata e complessa di rappresentazioni della realtà esterna e delle sue interazioni con la realtà stessa.

Da allora, però, il concetto di rappresentazione, spesso al centro del dibattito sui modelli di sviluppo della mente, è stato anche interessato da importanti cambiamenti teorici. Infatti mentre inizialmente Sandler lo aveva usato nell’ambito del modello strutturale di Freud, in seguito egli stesso ha progressivamente modificato le sue idee. Influenzato dal lavoro Winnicott, della Mahler, e di altri studiosi dello sviluppo, al primato delle pulsioni e del conflitto intrapsichico, ha sostituito la centralità degli affetti e delle relazioni interpersonali reali. Così modificato, il concetto di rappresentazione mentale ha suscitato un crescente interesse tra i ricercatori contribuendo al dibattito sullo sviluppo della psicopatologia (Erode 1983-88), e diventando un argomento di interesse comune tra psicoanalisi e psicologia evolutiva (Sandler 1960-62-78-90; Stern 1985-93).

B) Il concetto di rappresentazione, così come è stato riformulato recentemente, comprende due aree di significato: una prima area non esperenziale, cioè una organizzazione interna stabile, o una mappa che raccoglie ed integra le immagini mentali e le disposizioni relazionali del sé e degli altri, ed una seconda struttura di tipo fenomenologico o esperenziale dove si collocano in ogni momento i contenuti e le caratteristiche cognitivo-affettive delle esperienze personali.

Quando un bambino sperimenta numerose e diverse interazioni con la propria madre, la madre che lo nutre, la madre che gli parla, la madre che lo sgrida e così via, egli si crea, sulla base delle interazioni, una rappresentazione della madre che è fuori dall’esperienza soggettiva, cioè uno schema o un insieme di regole che sebbene esista al di fuori dell’esperienza soggettiva, ha la funzione di organizzare i dati dell’esperienza soggettiva stessa. D’altra parte, sebbene sia lo schema della madre a dare vita ad una serie di memorie, pensieri o fantasie su di lei, esso è una rappresentazione qualitativamente differente dalle immagini o dalle esperienze soggettive incluse in quelle stesse memorie, pensieri o fantasie. In questo senso il modello di mente proposto da Sandler si diversifica notevolmente dal concetto di “Internal working model” di Bowlby.

Si ipotizzano dunque due tipi di rappresentazione: una rappresentazione esperenziale nel presente ed una non esperenziale sempre più stabile ma nello stesso tempo in continuo sviluppo.

C) Non appena comincia a conoscere se stesso ed il mondo in cui vive, il bambino è in grado di sviluppar modalità stabili per rappresentare la propria esperienza. Agendo ed interagendo con il mondo esterno in una moltitudine di modi che gradualmente gli diventano familiari egli impara a distinguere fra se stesso e gli altri, a creare limiti, ed a sviluppare capacità di discernere tra ciò che è immaginato e ciò che è reale.
Alle prime rappresentazioni rudimentali, distorte o parziali, per l’interferenza di fantasie e di bisogni, o per un’organizzazione cognitiva ancora in via di sviluppo, gradualmente subentrano altre rappresentazioni, più articolate e realistiche, ed il mondo soggettivo del bambino si popola di rappresentazioni sempre più differenziate di attività, sentimenti, e relazioni.
Ben presto, tutte le relazioni del bambino con il mondo esterno vengono mediate da rappresentazioni psichiche, mentre queste a loro volta verranno modificate, o distorte per esigenze adattive da pressioni che sorgono dall’esterno, o da richieste interne.

D) In che modo, però, le rappresentazioni forniscono al bambino quelle indicazioni guida che gli sono necessarie per un’appropriata attività adattiva o difensiva’?
Abbandonato il punto di vista di Freud dove il conscio e l’inconscio erano pensati come regioni della mente, Sandler distingue tra rappresentazioni consce ed inconsce e sviluppa un modello della mente basato sulle rappresentazioni, a cui attribuisce, soprattutto a quelle inconsce un ruolo centrale in molti aspetti della vita psichica sia normale che patologica.

Sandler ipotizza che il bambino, molto presto nella sua vita, possa contare su sofisticate modalità per analizzare quanto gli accade, e che attraverso un operazione mentale che chiama “manipolazione”, possa agire sugli eventi modificandoli o mascherandoli, prima che diventino consci.

Con questo modello, egli contribuisce anche a chiarire concetti che a lungo sono stati al centro di controversie in psicoanalisi come quelli di fantasia e di difesa. Con la teoria delle rappresentazioni infatti, la fantasia non definisce più una qualsiasi esperienza soggettiva, ne è più in primo piano se essa preceda o no la rappresentazione, ma diversamente diventa il prodotto di una complessa operazione mentale che attraverso la manipolazione inconscia di esperienze soggettive costruisce una storia coerente.

Particolarmente interessanti sono anche le implicazioni del concetto di rappresentazione per descrivere le connessioni fra l’organizzazione mentale del singolo e le interazioni connessioni che avverrebbero ad opera di pratiche difensive tendenti ad usare le rappresentazioni come simulazioni di relazioni per prevedere, prevenire, manipolare gli effetti sulle e delle relazioni reali.

In questo modello infatti le difese vengono riproposte come processi mentali complessi, dove gli stati emotivi possono essere scandagliati, ed interpretati con anticipo, per rispondere con azioni o sentimenti, e modificare quelle rappresentazione del sé che sono sentite inaccettabili, prima che diventino consce. La “protezione”, ad esempio, è ridefinita come una rappresentazione del se e dell’altro che può essere cambiata, permettendo al sé di ripudiare la qualità non voluta nella rappresentazione dell’altro, la “formazione reattiva” è un cambiamento nella rappresentazione del sé del sentire o di una azione nel suo opposto; e ancora, lo “spostamento” è una rappresentazione del sé mascherata dal cambio dei protagonisti.

Particolarmente interessante, inoltre, è notare come sono stati ripensati i meccanismi di identificazione: l’identificazione primaria ad esempio è rivista in funzione difensiva, come un cambiamento nella rappresentazione di sé sul modello di alcuni aspetti dell’altro, ed in chiave comunicativa, attraverso le identificazioni fugaci o “di risonanza”, come un modo per veicolare empatia. Dell’identificazione proiettiva invece, Sandler mette in luce non solo glia spetti intrapsichici che guidano le modifiche interne delle rappresentazioni del sé e dell’altro in interazione, ma anche gli aspetti interpersonali che l’accompagnano, e che portano alla manipolazione esterna dell’altro costringendolo, per così dire,  a funzionare in modo da riflettere le caratteristiche proprie non volute, e consentendogli così di sperimentare nell’altro quegli aspetti del sé sentiti indesiderabili o poco conosciuti.

E) In tempi più recenti, e sviluppando un lavoro che si può considerare complementare a quello di Sandler, anche la psicologia evolutiva, si è interessata al mondo rappresentazionale del bambino per studiarne le unità di base.
Stern infatti, abbandonando le precedenti ipotesi teoriche, dove le rappresentazioni avevano come perno l’azione ed erano organizzate per sequenze di immagini, ha creato un nuovo modello, dove il bambino sviluppa il suo mondo rappresentazionale utilizzando le dinamiche del sentire. Un modello originale che è stato definito, con parole prese a prestito dalla musica, di “natura sinfonica” per avere come nucleo centrale gli stati di attivazione, il crescere e decrescere delle emozioni, e gli stati motivazionali.

Come si può vedere da quanto detto finora il concetto di rappresentazione è particolarmente interessante per le sue dirette implicazioni con le dinamiche interattive.

Col concetto di rappresentazione infatti viene dato un ulteriore apporto nella direzione di chiarire più precisamente il ruolo assolutamente centrale delle interazioni precoci nella costituzione della mente soggettiva.
Come indica Stern il punto di partenza delle rappresentazioni è nel “momento emergente” che identifica il senso dell’esperienza vissuta. Il bambino costruisce le sue rappresentazioni dall’esperienza di essere con un altro regolatore del sé, a partire dalle ripetizioni di eventi interattivi emozionalmente carichi. Il “momento emergente” individua l’interazione, che viene memorizzata per segmenti in rappresentazioni schematiche di vario tipo, e in modo globale in una rete o in “schemi di essere con”. Un volta costruiti gli schemi possono essere ripensati e ricombinati per impegnare il bambino nel gioco, o per creare fantasie e rappresentazioni difensive.

L’aspetto più interessante di questa ipotesi teorica è di aver proposto a ricercatori e psicoanalisti sia un modo per pensare come l’esperienza precoce di un bambino possa essere schematizzata e memorizzata in una forma proto-narrativa, sia un legame di continuità tra questa e la successiva esperienza narrativa. L’aver individuato come punto di partenza della rappresentazione “l’esperienza dell’essere insieme con l’altro in funzione di regolatore del sé”, permette anche di capire meglio come si possa ritrovare nella dinamica interattiva nella coppia o nella famiglia la riattualizzazione di”rappresentazioni interne” che vengono riproposte nelle relazioni reali attuali.

 


Bibliografia
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