Con questo numero dedicato al «Remoto e attuale nelle relazioni familiari» la rivista Interazioni vuole aprire il dibattito su uno dei capitoli più studiati, ma tuttavia ancora in parte oscuri nel campo della clinica familiare e di coppia. Come si noterà leggendo il numero, sono rimasti fuori dalla nostra trattazione (anche se più o meno ricordati) proprio gli aspetti di più specifica pertinenza del setting psicoterapeutico con la famiglia. Aprire un dibattito è già per noi un’impresa importante, ma pur lasciando ai contributi del lettore e ai successivi numeri il compito di un approfondimento, mi sembra giusto citare almeno alcuni dei capitoli emergenti sul «remoto e attuale nelle relazioni familiari». Comincerò con una nozione molto importante per la storia della psicoanalisi, quella di trauma, che assume, a mio parere, anche all’interno del setting familiare e di coppia, un ruolo centrale. La coazione a ripetere il trauma o il tentativo di ripararlo in sé o nell’altro come parte di sé, possono, ad esempio, rappresentare il fulcro collusivo di talune relazioni di coppia coniugale ove l’altro partner è stato scelto proprio perché rappresenta una parte di sé che si vorrebbe attaccare o riparare, o una parte del genitore, dell’amico, o del fratello del passato. In questo senso, una delle dimensioni inconsce dell’incontro può essere focalizzata sulla ripetizione della situazione traumatica infantile e delle corrispondenti difese che ciascuno dei partner ha vissuto nella famiglia di origine. Nella relazione matrimoniale può trovarsi, così, un nodo paradossale che vede, da una parte, la ripetizione della passata relazione traumatica e, dall’altra, il riparare nell’altro quanto non si è riusciti ad ottenere per sé. Questo nodo è paradossale perché superare ed elaborare questi aspetti che si riferiscono al passato, può comportare nel qui ed ora del matrimonio l’interruzione del legame, la separazione dal partner, per lo meno per la rimessa in discussione delle motivazioni inconsce che avevano generato e sostenuto il matrimonio. Se esiste un remoto, esiste anche una storia e una narrazione di essa. Cosa c’è di peculiare nel setting familiare a questo proposito? La narrazione che ci viene offerta nel setting familiare o di coppia non è mai individuale, ma è il prodotto collettivo finale di molte narrazioni, anzi è una «co-narrazione»costruita nel campo familiare da tutti i membri, in interazione tra essi e con l’analista. Molto di più che con l’individuo, in essa si intersecano due registri: quello verbale e quello analogico. L’osservazione del loro intersecarsi è importante nel lavoro proprio al fine di permettere la costruzione-ricostruzione di una storia familiare «sufficientemente» vera o plausibile. La storia della famiglia sarà poi sempre diversa dalla storia che ogni membro si porta con sé, dato che esiste una famiglia diversa per ogni membro e una coppia di genitori diversa per ogni figlio. Tuttavia una sua costruzione-ricostruzione sembra poter essere considerata cruciale anche perché, attraverso questo lavorio nella mente dell’analista e nello svolgersi del processo, la famiglia e ciascuno dei membri ritrova la propria continuità ed avanza nella sua potenziale «pensabilità».
La storia, inoltre, non è mai limitata al tempo di una vita, è sempre transgenerazionale, comprende più generazioni a volte presenti realmente nella stessa seduta (i nonni, i genitori, i figli), a volte presentificate nella cultura del gruppo familiare o trasmesse attraverso modelli di identificazione o coagulate nel mito familiare. Molto è stato scritto sul mito e questi brevi appunti non possono riprendere la ricchezza di questo tema. Potrò solo ricordare che secondo alcuni, come Bion, il mito deve essere considerato «oggetto di ricerca dell’analisi nella misura in cui fa parte dell’apparato primitivo degli strumenti di apprendimento di cui dispone l’individuo». Nella sua variante di mito familiare, potremmo considerarlo una fantasia inconscia gruppale che riguarda in genere la storia familiare e che ha la facoltà di essere un intercodice tra differenti livelli della realtà familiare. In questo senso, piuttosto che descrivere la realtà, insegna come la realtà deve essere letta. Finisce, perciò, per funzionare in modo prescrittivo. Insieme a molti altri meccanismi, anche attraverso il mito, la storia passata si trasmette di generazione in generazione, organizzando la continuità della cultura di quel gruppo familiare e perpetuando nelle situazioni patologiche un funzionamento traumatogeno per l’individuo. Potremmo continuare così, ma è evidente che ciascuno di questi temi meriterebbe non un articolo, ma tutto un numero della rivista.