INTRODUZIONE
Gli studi sulla psicoanalisi della coppia e della famiglia si sono sviluppati progressivamente, a partire da stimoli clinici, come il trattamento di pazienti gravemente malati e di bambini e adolescenti. All’inizio gli studi sulla genitorialità e sulla famiglia sono stati stimolati da due grandi filoni di lavoro, da una parte la psicoanalisi infantile e dall’altra il gruppo analisi.
Nel cercare metodi clinici e di comprensione teorica in questi setting, alcuni psicoanalisti hanno trasferito alla coppia e alla famiglia i modelli della psicoanalisi classica, mentre altri hanno imboccato nuove strade, ponendo l’accento sulle dinamiche intersoggettive e sui legami tra i membri. Tutto questo ha prodotto nuove scoperte e comprensioni ed è curioso osservare quanto la psicoanalisi abbia solo oggi riscoperto, con altre parole, esperienze e osservazioni che per noi sono un patrimonio già acquisito.
Spesso accade che gli psicoanalisti, chiusi all’interno della propria scuola di pensiero, non leggano i lavori dei colleghi di altre scuole, ma certamente in questo caso si tratta di un disconoscimento solo parzialmente risolto. Inoltre, il lavoro psicoanalitico con le famiglie e le coppie è stato spesso confuso con l’approccio sistemico nelle sue versioni più comportamentiste; E stato perciò confuso il setting con il modello e forse solo ora stiamo cercando di fare veramente chiarezza.
L’AIPCF (Associazione Internazionale di Psicoanalisi della Coppia e della Famiglia) è stata concepita nel 2006 a Montreal su iniziativa di alcuni analisti europei e americani, tra cui Alberto Eiguer, Evelyn Granjon Rosa Jaitin, Ezequiel Jaroslawsky, Anne Loncan, Roberto e Ana Losso, Daniela Lucarelli, Anna Maria Nicolò, Gabriela Tavazza, Gemma Trapanese ,David e Jill Scharff per riunire psicoanalisti e psicoterapeuti di orientamento psicoanalitico interessati al campo.
Anche se sono passati 24 anni ,può essere utile, tuttavia, una ricognizione delle teorie che hanno costituito in diversi continenti il riferimento per il lavoro psicoanalitico con le coppie e le famiglie, e questo per consentire ai lettori di acquisire una visione panoramica di questo tema.
Riassumerò brevemente i principali orientamenti psicoanalitici in questo campo, consapevole che la mia scelta e la mia rapida e superficiale rassegna non possono rendere giustizia della ricchezza e alla varietà dei contributi che, a partire dallo stesso Freud, sono giunti fino a noi oggi. Sono moltissimi gli autori che non ho citato e spero che i lettori mi perdonino perché il mio obiettivo è quello di offrire punti di riferimento in questa galassia a volte disordinata e di svelare le radici che l’hanno caratterizzata e la caratterizzano nella panoramica attuale.
La preistoria
Nel campo della psicoanalisi, i primi, embrionali riferimenti alla terapia familiare compaiono già negli scritti di Sigmund Freud (1856-1939). Anche se il fondatore della psicoanalisi ha sempre posto l’accento sull’individuo e ha gettato le basi per il suo trattamento sviluppando una teoria in termini di strutture intrapsichiche, nei suoi scritti precedenti, come “Elizabeth von R.” (Freud, 1905), la storia familiare e le sue dinamiche sottostanti occupano un ampio spazio e ci portano a collegare un sintomo a una particolare dinamica familiare. Il “piccolo Hans” (Freud, 1909), i cui problemi fobici furono affrontati attraverso il lavoro di Freud con il padre, può essere considerato il primo caso di intervento sulla famiglia. La fobia di Hans rappresentava non solo un conflitto intrapsichico, ma anche una difficoltà nelle relazioni familiari: la soluzione della problematica può essere attribuita, quindi, anche al cambiamento dell’atteggiamento del padre che, dopo gli incontri con Freud, divenne molto più attento e consapevole dei bisogni del figlio. Questo ha aperto la strada alla scomparsa del sintomo fobico del figlio il cui obiettivo principale, tra le altre cause della fobia, era quello di attirare l’attenzione dei genitori e far sì che il padre corresse in suo aiuto. Lo studio di Leonardo da Vinci portò Freud a interessarsi nuovamente alla costellazione familiare, a suo avviso un fattore significativo nel generare l’omosessualità di Leonardo a causa del legame molto stretto con la madre e dell’assenza di un padre forte nei primi anni di vita (Freud, 1910). A livello teorico, la teoria delle identificazioni e la Seconda topografia introducono il tema dell’intersoggettività. Con “Psicologia dei gruppi e analisi dell’Io” (Freud, 1921), avviene un salto epistemologico. Freud afferma che “nella vita mentale dell’individuo è sempre coinvolto qualcuno, come modello, come oggetto, come aiutante, come avversario: e così fin dall’inizio la psicologia individuale, in questo senso esteso ma giustificabile delle parole, è allo stesso tempo anche psicologia sociale” (p. 69). Ma ulteriori riferimenti, anche se non esplicitamente formulati, possono essere percepiti in modo più sostanziale anche nei contemporanei e negli allievi di Freud. Tra questi troviamo Sandor Ferenczi (1873-1933). Il discepolo preferito di Freud si occupò della relazione adulto-bambino e del trauma. Introducendo, tra l’altro, il concetto di relazione conflittuale e patogena tra l’adulto abusante e il bambino abusato, andò ben oltre i processi intrapsichici primari descritti da Freud per quanto riguarda il trauma psichico, includendo le relazioni oggettuali nei suoi studi sul trauma. In questo modo, ha arricchito la teoria chiarendo il funzionamento distorto del senso di realtà del bambino. L’attenzione data all’importanza del disconoscimento e dell’inganno da parte dell’adulto ha fornito un nuovo strumento di comprensione e di elaborazione. Lo sviluppo della psicoanalisi infantile e l’attenzione riservata alla relazione madre-bambino negli anni Venti e Trenta diventeranno uno dei punti cardinali della psicoanalisi familiare. Al Congresso dell’Aia del 1920, Hermine Hug-Hellmut (1871-1924), sostenendo che un’analisi condotta con i genitori avrebbe potuto prevenire le difficoltà psicologiche dei figli, mostrò la stretta connessione tra il funzionamento psichico delle coppie genitoriali e il bambino. Anna Freud (1895-1982) illustrò nella teoria psicoanalitica concetti che si prestano a spiegare il funzionamento interpersonale che si instaura tra gli individui, come il “meccanismo di spostamento” o l'”identificazione con l’aggressore”. Ne Il trattamento psicoanalitico dei bambini (1927) scrisse delle forze contro le quali si deve lottare per curare le nevrosi infantili che non sono solo di origine interna ma derivano in parte anche dall’esterno. Continuava dicendo che si ha il diritto di esigere dall’analista infantile un’adeguata valutazione dell’ambiente in cui il bambino vive, così come insiste affinché l’analista sia in grado di comprendere la situazione interna del bambino stesso (p. 92). Siamo tuttavia ancora lontani dall’immaginare un lavoro individuato e specifico in questi contesti. Da quel momento in poi, si affermeranno progressivamente posizioni che evidenzieranno sempre di più l’importanza dell’ambiente e delle relazioni. Nel 1936, al IX Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Nyon, in Svizzera, uno dei primi tenuti in una lingua romanza, compare per la prima volta il tema della famiglia: “Nevrosi familiare e famiglia nevrotica”. René Laforgue (1936), uno dei principali relatori, parlò della sua esperienza di “analisi di diversi membri della famiglia allo stesso tempo” e affermò che il trattamento dei genitori si rifletteva sul recupero dei figli.
In Gran Bretagna
Dopo la guerra iniziò a manifestarsi una nuova sensibilità e in quel periodo Michael ed Enid Balint, , gestivano un centro di consulenza matrimoniale. Enid Balint (1963) è stata l’autrice di uno studio pionieristico in questo campo. Ella evidenziò come la relazione di coppia non sia solo un’area di condivisione, ma anche indifferenziata e confusa. Descrisse come la relazione sia caratterizzata da un livello di intimità che stabilisce una comunicazione esclusiva tra le menti inconsce della coppia. John Bowlby pubblicò in quegli anni uno studio clinico intitolato “The Study and Reduction of Group Tensions in the Family” (1949), in cui descriveva i colloqui con i membri della famiglia come ausiliari delle sedute individuali. In questo articolo raccontava il caso di un ragazzo che aveva analizzato per due anni senza alcun risultato, motivo per cui aveva successivamente sperimentato una seduta psicoanalitica familiare. Anche se Bowlby considerava sperimentale questa esperienza delle sedute familiari, scrisse che raramente utilizzava questo metodo più di una o due volte nello stesso caso; tuttavia, arrivò a utilizzarlo quasi abitualmente dopo il primo colloquio e prima di iniziare la terapia vera e propria (ibid.).
Gli anni 1950-1970 saranno considerati un periodo estremamente interessante e vivace a questo proposito. Negli Stati Uniti, N. Ackerman, M. Bowen, I. Boszormeny-Nagy, T. Lidz e J. Framo furono tra i primi ad affermare una continuità con la teoria psicoanalitica, proponendo tuttavia uno sviluppo che andava oltre l’individuo.Nathan Ackerman (1908-1971) lavorò a New York dove fondò la Family Mental Health Clinic (oggi Ackerman Institute), uno dei più importanti centri di terapia familiare. Nel suo saggio “Psicoterapia familiare e psicoanalisi: The Implications of Difference” (1962) illustrò e diffuse un approccio terapeutico, un tipo di tecnica che continuava a basarsi sul lavoro intrapsichico integrandolo con la terapia di gruppo familiare. Ackerman considerava fondamentali i processi familiari inconsci, richiamando l’attenzione, nel lavoro clinico, sulle difese e sulle resistenze al processo terapeutico. È stato il primo a esprimere il concetto di “capro espiatorio”, con il quale dimostra che la patologia di un membro della famiglia può essere fatta emergere in modo funzionale a tutti i processi familiari.
Negli anni successivi, l’applicazione della teoria delle relazioni oggettuali al funzionamento della famiglia e della coppia ha iniziato a orientare, come fa tuttora, molti psicoanalisti di lingua inglese che, rifacendosi alle argomentazioni di Ronald Fairbairn e Melanie Klein e utilizzando i concetti di identificazione proiettiva e proiezione, hanno studiato e studiano tuttora questi contesti. E così la collusione, un intreccio reciproco di identificazioni proiettive secondo la definizione di Dicks (1967), è stata considerata la base del funzionamento della coppia e della famiglia. Proseguendo su questa linea, Stanley Ruszczynski (1993; Ruszczynski & Fisher, 1995) in Inghilterra, Andreas Giannakoulas (1992) in Italia e Jill e David Scharff (1991) negli Stati Uniti, hanno ulteriormente sviluppato questo orientamento. Esplorando l’argomento in modo innovativo e creativo, tra gli americani Otto Kernberg (1991, 1998) sostiene che la coppia è il luogo in cui avviene l’attivazione conscia e inconscia delle relazioni oggettuali interiorizzate e all’interno del quale si attivano le funzioni superegoiche di entrambi i partner. Per Kernberg esiste un ideale dell’Io comune che ha un certo peso nel futuro della relazione di coppia. Egli considera anche l’influenza reciproca della coppia nel contesto sociale e in particolare nei confronti del gruppo di amici. Nei Paesi anglosassoni si può ipotizzare che alla base degli studi su questi temi ci fosse la necessità di aprirsi alla dimensione sociale, già iniziata con gli effetti traumatizzanti della guerra e dalla necessità di un lavoro coerente e competente con i genitori dei bambini in cura. Londra stessa fu un crogiolo di idee, teorie e sperimentazioni. Il Tavistock Institute for Human Relations di Londra è ed è stato per molti anni un centro di eccellenza per la ricerca sugli studi sulla coppia e sulla famiglia e sull’intervento con i genitori. Innumerevoli membri di questo istituto hanno prodotto opere di grande importanza a questo proposito, come H. V. Dicks, Tom Main, Michael ed Enid Balint e G. Teruel. Nella sua opera “Tensioni coniugali “(1967), Dicks è stato il primo a impostare un lavoro clinico sistematico con le coppie, utilizzando come base di riferimento: un setting con quattro persone (la coppia di pazienti e la coppia di terapeuti), la scelta inconscia del partner, i concetti di collusione e di membrana diadica. Soprattutto il concetto di collusione, un gioco condiviso tra i membri della coppia, trova il suo fondamento nell’identificazione proiettiva reciproca e incrociata tra i membri della coppia, che porta alla formazione di un’unità integrata e di un Sé condiviso nella coppia (Nicolò, Picoanalisis y familia, Herder 2014 pag. 36).
Se la guerra aveva definitivamente attirato l’attenzione sulla dimensione sociale, alla fine degli anni Sessanta lo sviluppo di un movimento antipsichiatrico rese necessario ampliare l’interesse per il contesto culturale entro cui emerge il disturbo mentale. Ciò ha portato a un diffuso interesse per la famiglia. Alcuni studi e importanti ricerche sono stati condotti in questo campo da Ronald D. Laing (1927-1989), discepolo di Winnicott e rappresentante del movimento antipsichiatrico. I volumi The Divided Self (1960), Self and Others (1961) e (1971). The Politics of the Family and Other Essays (1971) e Sanity, Madness and the Family (1974) hanno esercitato una grande influenza culturale nei Paesi di lingua inglese, europei. A Laing si deve, tra l’altro, lo sviluppo del concetto di “difesa transpersonale “.
Laing offre una comprensione del sintomo schizofrenico all’interno del contesto familiare, mostrando in modo innovativo come i disturbi mentali possano rappresentare un particolare tipo di recupero rispetto ai conflitti familiari e intrapsichici. L’interesse di Laing per l’aspetto sociale e politico dei disturbi mentali lo fece gradualmente allontanare dalla psicoanalisi, mentre nel resto del mondo si sviluppava l’aspetto relazionale della teoria psicoanalitica attraverso la teoria dei gruppi e la teoria delle relazioni oggettuali. In questo filone della teoria delle relazioni oggettuali si collocano Jill e David Scharff che hanno fondato una scuola e un istituto, l’International Psychoanalytic Institute e affermano: “La famiglia è un piccolo gruppo intimo unito al suo interno da reciproche identificazioni proiettive e introiettive, a tutti i livelli dell’organizzazione psichica: dalla coppia coniugale al suo centro fino a ciascun individuo, ci possono essere molteplici combinazioni possibili di relazioni tra genitori, figli, fratelli e la famiglia allargata. Nelle coppie e nelle famiglie, le privazioni e i traumi riducono e alterano la capacità di un accurato sistema di risonanza dell’identificazione proiettiva, mentre le interazioni in sintonia positiva promuovono
la crescita della capacità di tollerare le esperienze e le emozioni negative”. ( Scharff D. ,Scharff , J. 2004 )
Mary Morgan, psicoanalista alla Tavistock, ha elaborato più recentemente il concetto di “stato mentale della coppia”. Il compito dell’analista è quello di mantenere uno “stato mentale della coppia”. Questo stato interno per l’analista consiste nel preservare nella sua mente il funzionamento di entrambi i partners e le loro modalità di relazione. In questo modo svolge la funzione terapeutica di contenimento e restituisce ai pazienti la visione del loro legame reciproco.
In Argentina
L’Argentina è stata una delle nazioni in cui si è sviluppata per prima la psicoanalisi della coppia e della famiglia; due gli autori particolarmente significativi: Pichon Riviere e Bleger.
Pichon Riviere è stato uno dei primi a definire il concetto di legame, come “una struttura complessa che comprende il soggetto, l’oggetto e la loro reciproca interazione”. Egli differenzia il legame dalla relazione d’oggetto e specifica che il legame forma un modello di comportamento che tende a ripetersi automaticamente sia nel mondo interno che in quello esterno con l’altro ( 1980 Linking theory Buenos Aires, Nueva Vision).
A questo autore, tra i primi, si deve la definizione del paziente come portavoce delle ansie del gruppo familiare. Anche Berenstein e Puget pongono il legame, quello di coppia e familiare, al centro del loro lavoro clinico e della loro teoria. Berenstein elabora infine la sua concezione della famiglia a partire dalle teorie dell’antropologo Levy Strauss per il quale la struttura della parentela ha vincoli specifici come quello della filiazione, dell’alleanza matrimoniale, con i nonni, tra fratelli. Aggiunge un altro tipo di legame, quello come esperienza emotiva, aggiungendo poi che c’è una memoria del legame…
Secondo questo autore, “la memoria trascende il sé e si può dire che sia contenuta dagli altri, così come la memoria degli altri può essere portata dal sé… La struttura familiare inconscia e l’insieme dei legami sono ricordati attraverso le persone della parentela senza essere consapevoli di ciò che viene evocato nel discorso familiare” (Berenstein 1990 pag. 132 psicoanalizzar una familia. Paidos Buenos Aires ). Anche per Berenstein e Puget, come per gli inglesi, esiste una base inconscia condivisa della coppia.
Un altro autore significativo è José Bleger che nel suo libro “Gruppo familiare e psicoigiene” definisce la famiglia come un gruppo sincretico in cui si concentra la parte psicotica della personalità dei suoi membri. A lui si deve il concetto di deposito che ha dato origine a molte riflessioni a livello familiare, istituzionale e clinico. Secondo questo autore, in ogni situazione di gruppo ha luogo un gioco di scambio reciproco. Esistono cioè un depositante e un depositario legati da un vincolo che permette il transito di ciò che viene depositato.
Anche Janine Puget riprende questi concetti parlando di come la dimensione indifferenziata della mente abbia bisogno di depositare contenuti in persone o strutture che siano fonti di sicurezza e stabilità, ma questo livello diventa a sua volta depositario di altri individui. Si definisce quindi un deposito reciproco tra depositanti e depositari.
Oltre a questi autori argentini, dobbiamo ricordare lo straordinario lavoro di Jorge Garcia Badaracco sulle famiglie schizofreniche e sulle comunità terapeutiche multifamiliari. La sua concezione dell’oggetto che fa impazzire ( the maddening object -l’objeto enoloquecedor) come oggetto alieno patologico che infesta la mente del paziente e lo parassita dall’interno è stata precorritrice di molti studi successivi.
Secondo Badaracco, nelle patologie psicotiche i genitori, con le loro aspettative anticipate, intrappolano lo sviluppo del bambino in ruoli contraddittori e lo costringono a identificazioni contrastanti.Il futuro bambino paziente si identificherà da un lato con un aspetto patologico di uno dei genitori e dall’altro strutturerà falsi aspetti di sé, bloccando così il suo sviluppo. Queste identificazioni possono essere multiple e quindi un’identificazione dominante ne terrà separata un’altra. La psicosi si colloca quindi al centro di un complesso
funzionamento familiare e per risolverla sarà necessario lavorare con tutta la famiglia. In questo panorama estremamente creativo e complesso, non posso dimenticare il lavoro di Roberto e Anna Losso che, nel Dipartimento di Coppia e Famiglia dell’Associazione Psicoanalitica Argentina, sviluppano un lavoro sullo psicodramma psicoanalitico di coppia ed elaborano un’interessante teoria sul mito e sul transfert mitico. Devo anche ricordare il lavoro accurato e capace di diffusione e sviluppo di Ezequiel Jaroslawsky che ha fondato e dirige la rivista Psychoanalisis y intersubjectividad. Ha sviluppato un lavoro di validazione scientifica della psicoanalisi di coppia con indicatori empiricamente oggettivabili di discriminazione e indiscriminazione secondo il modello Ruffiot/Kaës. Anche il lavoro clinico di Irma Morosini nella comprensione delle storie familiari attraverso lo psicodramma psicoanalitico che lavora sulla scena dietro la scena e nel laboratorio espressivo (collage, marionette) oggettivando la costruzione condivisa della propria storia familiare affettiva. Ricordiamo anche Eduardo Grinspon con il suo concetto di “trappola clinica” nei problemi narcisistici borderline e le sue implicazioni come analista. Rodolfo Moguillansky ha dato importanti contributi alla psicoanalisi familiare sulla vita emotiva della famiglia, sulla differenza tra legame e relazione affettiva, sull’amore nella coppia, ecc..
A lui si deve un grande approfonsimento del pensiero di Renè Kaes, come il lavoro clinico di Irma Morosini nella comprensione delle storie familiari attraverso lo psicodramma analitico lavorando nella “scena dietro la scena”
e nell’atelier espressivo (collages, marionette) come un mezzo per oggettivare la costruzione condivisa nella famiglia della propria storia affettiva Non posssiamo poi dimenticare Eduardo Grinspon con il suo concetto di “piège clinique” nella problematica narcicistica e borderline e il suo coinvolgimento come analista.
Il legame e il suo sviluppo
A partire dall’idea di Pichon Riviere, in tempi più recenti è stata data grande enfasi al concetto di “legame”, in relazione a ciò che unisce i membri della famiglia. Mentre Freud sottolinea l’identificazione come meccanismo che unisce un individuo all’altro anche nel corso di diverse generazioni, per molti psicoanalisti di famiglia e coppia , il termine “legame” è usato nel senso di una struttura inconscia che collega due o più individui. Si distingue da altri concetti come quello di relazione oggettuale che ognuno di noi ha nel mondo interno e che ha origine nella nostra storia infantile. Già nel 1985, Pichon Rivière, nella sua opera Teoría del vínculo, accentuava la differenza tra legame e relazione d’oggetto. Si chiedeva perché usiamo il termine “legame”. Spiegava poi che in realtà “nella teoria psicoanalitica siamo abituati a usare la nozione di relazione d’oggetto, ma la nozione di legame è molto più concreta. La relazione oggettuale è una struttura interna del legame. Si potrebbe dire che la nozione di relazione oggettuale è stata ereditata dalla psicologia atomistica, mentre il legame è una cosa diversa che include il comportamento. Il legame potrebbe essere definito come un particolare tipo di relazione con l’oggetto; da questa particolare relazione deriva una condotta più o meno fissa con l’oggetto che comporta la formazione di uno schema, un modello di comportamento che tende a ripetersi automaticamente sia nella relazione interna sia nella relazione esterna con l’oggetto”. A mio avviso, in un certo senso questa concezione tende ad agire come un ponte che collega il mondo interno della persona alla realtà esterna. Un modello di comportamento ripetuto, se abbiamo capito bene quello che ci dice Pichon Rivière, forma un modello che include i due individui che condividono una relazione. Per questo motivo Berenstein (2001), uno degli allievi argentini di Pichon Rivière, spiega che se riconosciamo l’esistenza del legame (vínculo) questo comporta una riflessione sul soggetto, sul posto dell’altro e sulla differenza con l’oggetto interno e la nozione di oggetto esterno; Il legame che si crea, ad esempio, tra i membri di una coppia, anche se scaturito nell’incontro dalle ragioni inconsce della scelta di quel partner, è comunque un elemento nuovo generato nel qui-e-ora all’origine dell’incontro. Kaës scrive del legame che è il movimento più o meno stabile delle rappresentazioni e delle azioni che uniscono due o più individui per la realizzazione di alcuni dei loro desideri. Kaës (1994) distingue tra il campo della relazione oggettuale e quello del legame in cui l’altro è anche l’altro nella realtà, diverso dall’oggetto interno. In questo caso “ l’oggetto della relazione non è solo l’oggetto della proiezione ma anche la fine di un processo di scambio psichico e quindi è, in quanto altro soggetto, un altro soggetto che insiste e resiste in quanto è l’altro” (ibid., p. 27). Anche se con caratteristiche diverse, motivato dal suo lavoro con le famiglie di psicotici, non possiamo dimenticare quanto dice Racamier in proposito. Egli illustra un pattern relazionale che definisce ingranamento. L’ingranamento si riferisce ad una modalità di relazione e ad una forma di funzionamento psichico, l’una collegata all’altra, caratterizzata da un doppio intreccio «tra l’intrapsichico e l’interattivo, così come tra una persona e l’altra» (Racamier, 1990, p. 62)
Ma certamente c’è ancora molto da fare a questo proposito. Infatti, come potremo distinguere la natura, la forma e la qualità dei legami? Come potremo distinguere il legame reciproco che unisce i membri di una coppia dalle reciproche identificazioni proiettive che pure li legano e li caratterizzano? Su questo aspetto, certamente cruciale, molti autori danno risposte diverse., Come abbiamo già scritto (Nicolò A. Lucarelli D. 2015 ; Nicolò A. 2014) I legami sono comunque strutture inter- e trans-soggettive, che implicano la costruzione condivisa di due o più persone; hanno sempre un lato agito ed è quindi possibile osservarli più che altro nelle azioni, nei comportamenti, nel linguaggio non verbale o nelle manifestazioni corporee dei membri. Anche se possono essere trasmessi da una generazione all’altra, i legami sono il frutto di una adattamento reciproco tra i membri. L’atmosfera della casa, i suoi arredi, le foto che registrano la famiglia nel corso del tempo sono a volte rappresentazioni da cui possiamo trarre informazioni sull’identità di quella famiglia e sui legami tra i suoi membri. Tuttavia, l’elemento in cui forse possiamo leggere più facilmente la qualità e le forme dei legami all’interno della famiglia sono soprattutto i miti che la famiglia si tramanda di generazione in generazione, e in cui questi aspetti traumatici della sua storia tendono a condensarsi come una sorta di elaborazione in progress (Nicolò 2015). Naturalmente, concepire le cose in questi termini è rivoluzionario, ma può anche causare sgomento, dato che l’oggetto del legame non si trova nella mente individuale, ma nello spazio interpersonale. Kaës sottolinea anche che potremmo trovarci di fronte a una realtà psichica senza soggetto. Questa realtà psichica, per acquisire autonomia, si sviluppa inevitabilmente tra i soggetti (lo spazio psichico dell’intersoggettività) e si sviluppa anche attraverso i soggetti (lo spazio psichico della transoggettività). Questa prospettiva ci sfida anche dal punto di vista concettuale, perché ci chiede dove si trovi l’inconscio nel contesto della coppia o della famiglia, una domanda che molti autori si sono già posti.
Anche per il modello italiano della Società di psicoanalisi della coppia e della famiglia il legame è una nozione centrale. Il legame tra i partner, anche se innescato dall’incontro di motivazioni inconsce, è comunque un elemento nuovo, (Nicolò….prodotto all’origine dell’incontro, anche se indipendente da essi è in grado di condizionarli. A livello pre-simbolico, nella vita domestica si organizzano legami tra i partner di una coppia e con ciascuno dei loro figli. Sono sia modalità di relazione interpersonale che forme di funzionamento intrapsichico, forgiate con elementi scissi e accordi inconsci per difendersi da esperienze o traumi non elaborati. “I legami costituiscono un canovaccio di fondo che caratterizza le nostre interazioni, una sorta di palcoscenico davanti al quale gli attori recitano. Di solito il palcoscenico rimane sullo sfondo, ma a volte, in certe situazioni patologiche, diventa l’elemento più importante della scena. È difficile sciogliere questi legami perché vi partecipano più membri e il bambino, che vi cresce, li impara”. (Nicolò 1997, 2000, 2003, 2005).
Attualmente, nelle prospettive aperte da vari autori, sembra che tutti concordino nel sostenere l’importanza di integrare due punti di vista: il primo, elemento del mondo interno, e il secondo, quello che osserviamo nel mondo interpersonale. Questo è particolarmente importante quando si lavora con le coppie, dove l’altro è l’oggetto della propria proiezione, ma dove anche l’altro non può essere ridotto alla propria “rappresentazione più o meno colorata dall’immaginario” (Berenstein, 2001).
In Francia
Nei Paesi francofoni, il lavoro in questi contesti tiene conto in modo molto approfondito dell’applicazione dell’analisi di gruppo. Il Collège de Psychanalyse Groupale et Familiale, collegato alla rivista Gruppo (e successivamente Groupal), fa riferimento al lavoro di Didier Anzieu (1923-1999) sui gruppi. Lo psicoanalista francese ha introdotto i concetti di “Io-pelle” (1997) e di “involucro psichico” (1996), osservando come le coppie e le famiglie sviluppino i loro involucri a partire da un oggetto primordiale e creino così un “Io-pelle” comune. Secondo il grande psicoanalista francese, nel neonato esiste una doppia identificazione con la madre, da un lato con il capezzolo che nutre e dall’altro con la pelle che contiene. Allo stesso modo, la coppia e la famiglia sviluppano il loro involucro a partire da un oggetto per loro primordiale; si costituisce così una pelle comune. Tale involucro si oppone al servizio dei bisogni speculari e della dipendenza fino a sostenere illusioni e fantasie, come i fantasmi di somiglianza e interezza, che possono interferire con le normali funzioni del sé cutaneo costituendo una minaccia per il funzionamento differenziato degli individui all’interno della coppia o della famiglia.
L’altra grande scuola, legata alla (SFTFP) Société Française de Thérapie Familiale Psychanalytique , conta tra i suoi membri psicoanalisti come André Ruffiot, Alberto Eiguer, Evelyn Granjon, Christiane Joubert ,Anne Loncan e Rosa Jaitin. Dal 1998, insieme ad altri, pubblica una rivista dal nome evocativo di Le Divan Familial. Questo gruppo offre una visione più composita che condivide con il lavoro di René Kaës il concetto di apparato psichico familiare. Nella teorizzazione di Kaës (1976), il concetto di apparato psichico di gruppo fa riferimento al gruppo come unità somatopsichica individuata che si struttura con il pretesto e l’illusione di costituire una formazione gruppale dell’inconscio. Altri autori, tra cui Ruffiot, Caillot, Decherf e Decobert, hanno sottolineato e sviluppato concetti legati alle fantasie primarie e al processo di interfantasmatizzazione. Alla base di questo percorso transgenerazionale e di quello delle fantasie sulle origini della famiglia stessa, gli autori ipotizzano l’esistenza delle fantasie primarie, portatrici di differenziazione tra generazioni e sessi.
Queste fantasie mobilitano la capacità della famiglia di stabilire legami. Producono anche individuazione e cambiamenti, assorbono traumi, elaborano perdite e lutti. L’interfantasmatizzazione indica il “luogo di incontro dei fantasmi individuali di ciascun membro” (Eiguer , 1983, ed.it. p.46) usando così un termine di derivazione gruppoanalitica (Ezriel, 1986; Kaës, 1976; Anzieu, 1976).
Come ci dicono Ruffiot e Peeters (Tratto da Gruppo n. 7 Vocabolario),
L’Interfantasmatizzazione è una comunicazione inconscia tra i membri della famiglia che si dispiega a partire dalla psiche originaria ,dal rapporto dalla relazione del bambino con la madre e con gli altri membri della famiglia e quindi con l’inconscio Familiare.
Il primo ad usare questo concetto fu Ruffiot, ma egli stesso ne descrive le radici riprendendo il lavoro di Foulkes che aveva osservato la risonanza fantasmatica dei gruppi.
Come si può vedere in vari modi, tutti gli studiosi di psicoanalisi della coppia e della famiglia si interrogano su ciò che accade nelle relazioni tra i membri della famiglia e sul funzionamento della famiglia come unità. Se alcuni psicoanalisti evidenziano il funzionamento fantasmatico del gruppo, altri, come Eiguer, in aggiunta riprendono il concetto freudiano di identificazione come meccanismo di relazione tra gli individui. Nel suo contributo (Famiglie in trasformazione), Eiguer descrive il ruolo svolto dall’identificazione all’interno di un approccio teorico-clinico intersoggettivo secondo il quale la psiche di due o più individui funziona in reciprocità in modo tale che entrambi si influenzano reciprocamente a diversi livelli. Ogni individuo è influenzato dallo stato psichico dell’altro e ogni variazione nelle identificazioni gioca un ruolo attivo in questi interscambi. Il tema della trasmissione transgenerazionale della vergogna e dell’umiliazione è trattato anche da Pierre Benghozi, che introduce le nozioni di “eredità della vergogna” o “eredità del tradimento”.
Accanto a questi psicoanalisti dobbiamo però ricordare il lavoro pionieristico di Jean-George Lemaire, fondatore della Psyfa, una delle più antiche associazioni francesi di terapia psicoanalitica familiare, e della rivista Dialogue. Egli osserva come il lavoro clinico con le coppie possa portare alla necessità di rivedere alcuni concetti classici della psicoanalisi. Ne consegue che l’emergere di particolari manifestazioni definite di “appropriazione”, quasi di cattura e di scissione, che non si verificano in altri ambienti di vita dei pazienti individualmente, lo ha indotto ad ampliare il concetto di identificazione per includere il frequente emergere di immagini legate a fenomeni di identificazione molto arcaici di tipo gruppale. Egli descrive uno “spazio non cosciente” piuttosto che un inconscio in cui immagini non coscienti o altre percezioni sensoriali non coscienti, ma non fantasie represse e non reali o scenari organizzati, convivono semplicemente con altri fenomeni di origine neuropsicologica. Potremmo dire “primordiali” in quanto, probabilmente, trovano la loro origine nelle fasi iniziali dello sviluppo neuropsichico, quando i diversi sistemi sensoriali sono ancora indifferenziati. La dimensione narcisistica e le fasi primordiali, quasi pre-individuali, della costruzione del sentimento di identità danno origine, nelle relazioni amorose, a un’agenzia psichica: “Noi”. Ognuno conserva le tracce del “Noi” iniziale di ciascun individuo e, allo stesso tempo, lo rappresenta nel legame di coppia. Un approccio teorico che tenga conto della dimensione interpersonale e intergenerazionale ha favorito l’interesse per un aspetto particolare della struttura reale e fantasmatica della famiglia, quello dei legami fraterni e del modo in cui questi sono impressi nei legami di filiazione inter- e transgenerazionali, in altre parole, in un insieme immaginario, reale e simbolico. Rosa Jaitin (2006), per quanto riguarda queste nozioni, propone la distinzione tra “complesso fraterno” e “legame fraterno”. Se il complesso si fonda, da un lato, sui legami interpersonali e intergenerazionali creati durante la storia dell’infanzia, non deve essere confuso con questi legami fraterni: la sua esistenza è indipendente dai legami fraterni. La Jaitin mostra che la fantasia incestuosa è una componente del complesso fraterno, ma ci ricorda che tutti gli esseri umani sono permeati dalla fantasia dell’incesto fraterno, che è una fantasia universale al di là della realtà del legame fraterno. Il legame fraterno ci rimanda a un altro livello: mette in primo piano le relazioni tra i diversi complessi di fratelli e sorelle e di quel particolare legame.
Voglio finire questa rapida menzione degli psicoanalisti francesi che sono stati pionieri in questo campo ricordando il grande J.P.Racamier, non tanto perché egli sia legato ad una specifica scuola di psicoanalisi familiare, ma piuttosto per le sue scoperte sul funzionamento delle famiglie psicotiche. È merito di Racamier l’aver illustrato in modo originale e creativo una costellazione caratteristica del funzionamento psicotico, che egli ha chiamato “antiedipo”.
L’antiedipo è una costellazione che si trova alla congiunzione tra l’oggettuale e il narcisistico, tra l’individuale e il familiare. Tende a contrapporsi e a controbilanciare le spinte e le angosce dell’Edipo, ma soprattutto lo precede. Si rivela così sia anti-edipica che ante-edipica. Essa è caratterizzata da una relazione di seduzione narcisistica il cui fine è quello di mantenere nella sfera narcisistica una relazione suscettibile di sfociare in una relazione d’oggetto.
L’obiettivo di una tale costellazione, nella sua lenta e antica costruzione, fondata sin dalle origini della famiglia, è quello di prevenire anticipatamente contro il lutto e le angosce di separazione, di mantenere l’onnipotenza fusionale del paziente con la madre e di funzionare protettivamente contro le eccitazioni, gli stimoli esterni, le spinte della crescita e le conflittualità edipiche in particolare. Essa “dovrà prevenire i desideri edipici, l’iscrizione fantasmatica della scena primitiva, l’emergenza dell’angoscia di castrazione” (racamier )e le angosce attivate dalle differenze tra i sessi, tra le generazioni, tra gli esseri umani.
In Italia
Continuando a guardare ai Paesi europei, non posso trascurare l’intricata situazione italiana, dove lo studio della coppia e della famiglia è stato molto precoce. Molto presto si sono organizzate alcune associazioni italiane, i cui analisti erano stati influenzati alcuni ( Taccani et al ) presso il College de Psychoanalyse familiale e altri presso la scuola argentina di Berenstein, come quelli che si raccolsero intorno ad Armando Bauleo. Nel corso degli anni, Giulio Cesare Zavattini (2010) ha sviluppato pubblicazioni e ricerche in questo campo, basandosi sulla teoria dell’attaccamento. Un altro gruppo di psicoanalisti creò poi la Società di Psicoanalisi della Coppia e della Famiglia (PCF). Questo gruppo comprendeva da un lato psicoanalisti che avevano una formazione psicoanalitica con bambini e adolescenti, ( Lucarelli, Nicolò Norsa ) altri (Tavazza, Trapanese , Saraò, Zavattini )provenivano da un approccio sistemico successivamente abbandonato. Inizialmente questi psicoanalisti si erano riuniti, a partire dal 1992, intorno alla rivista Interazioni. Ricerca clinica e psicoanalitica sull’individuo-coppia-famiglia, diretta da Anna Maria Nicolò, La serie di scambi suscitati dal dibattito scientifico promosso dalla rivista ha portato al primo Congresso Internazionale di Psicoanalisi della Coppia e della Famiglia, tenutosi a Napoli nel 2000, offrendo così un’occasione di incontro a operatori di varie nazioni. Ne è derivato un ulteriore stimolo all’interesse per la ricerca e la clinica familiare e l’incoraggiamento alla futura costituzione di una società internazionale. Una grande parte di questo gruppo si era originariamente formato sul modello inglese di Dicks, ricreato in Italia dallo psicoanalista inglese Andreas Giannakoulas all’interno dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università SAPIENZA di Roma. Una parte di questi analisti ha sviluppato nel tempo un proprio modello, prendendo parzialmente le distanze dal concetto di collusione.
Una forte influenza in esso deriva dalla concezione di Meltzer e Harris che, ripensando in modo originale le ipotesi kleiniane-bioniane, propongono ipotesi esplicative per collegare lo sviluppo della mente individuale e quello della famiglia.
La famiglia è vista come un contesto di apprendimento di modalità emotive influenzate dalle “modalità attuali del gruppo educativo familiare e dal suo stato di organizzazione” (Meltzer, …).
Uno dei compiti della famiglia è il contenimento della sofferenza psichica legata alla crescita dell’individuo. Collegandosi all’ipotesi di Bion sull'”apprendimento dall’esperienza” (Bion, 1962) inteso come processo di formazione interiore, all’interno di un individuo così come di ogni famiglia Meltzer ipotizza uno scontro tra le procedure che mirano a evitare, a evacuare la frustrazione e quelle che mirano a modificarla, a renderla fruibile. Il compito di modulare, contenere ed elaborare la sofferenza è affidato al pensiero. In questo modello italiano di comprensione e lavoro clinico
la famiglia è vista come un sistema interiorizzato di legami ,è considerata la matrice del pensiero e dell’identità individuale (Nicolò… famiglia come matrice del pensiero); è caratterizzata da specifiche qualità interattive e anche da una struttura intergenerazionale. A livello fantasmatico, le fantasie inconsce e le angosce di base del gruppo familiare sono affrontate da difese transpersonali, che sono un prodotto collettivo dei membri della famiglia; mentre ogni membro della famiglia può contare su difese individuali che ciascuno ha a disposizione. Il punto focale di questo approccio è lo studio dell’intreccio continuo e reciproco tra il mondo intrapsichico di ogni singolo membro e il funzionamento interpersonale della famiglia di appartenenza (Nicolò, 1988, 1990). A livello diagnostico e terapeutico, questo metodo osserva, ad esempio, la consonanza o la dissonanza dell’individuo rispetto
alle angosce comuni o alle fantasie collettive del gruppo. Inoltre, porta alla luce le difese di ciascun individuo di fronte a conflitti comuni o a fantasie condivise, e mette a confronto la difesa del singolo individuo rispetto alla difesa collettiva interpersonale, come si può osservare in particolare nel lavoro sul sogno, che nel setting familiare è espressione sia del funzionamento individuale che di quello familiare. (Nicolò, 2000, 2006; Nicolò & Borgia, 1995). La molteplicità e la presenza contemporanea di più livelli di funzionamento nella famiglia e nella coppia spiegano la diversità delle reazioni agite dalla famiglia che oscillano continuamente tra i livelli più indifferenziati e primordiali, e i livelli più differenziati, rappresentazionali o simbolici.
I livelli più indifferenziati possono essere letti attraverso l’uso del corpo, le somatizzazioni e gli agiti. Essi possono costituire il livello transpersonale della famiglia , che è il luogo della comunicazione inconscia primitiva che viene agita o somatizzata, e che è anche il luogo delle difese transgenerazionali. Questi livelli, presenti contemporaneamente, impongono la necessità di risposte articolate e terapeutiche, a livelli diversi, obbligando così l’analista a misurarsi non solo in una relazione asimmetrica, ma anche come membro di quel sistema di nuova formazione composto dalla famiglia in legame con lui. Obbligano anche a risposte terapeutiche che non sono solo l’interpretazione , ma piuttosto l’uso della metafora per favorire la simbolizzazione e della narrazione della storia familiare
Grande importanza nel lavoro clinico viene data ai miti, ai sogni e ai ricordi narrati in famiglia, ma soprattutto alle interazioni coordinate nella famiglia su base quotidiana, conosciute, ma non consapevoli i, ricordate nei fatti, nelle abitudini interattive, ma non pensate dove si nascondono i costrutti fondamentali della vita psichica e dove si trasmettono i ricordi traumatici non elaborati e avviene la ripetizione di regole relazionali apprese inconsciamente da altre generazioni e ricontrattate nella nuova famiglia.
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