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La coppia sul lettino dello psicoanalista, quando e perché in amore c’è bisogno dello specialista

Perché farsi aiutare da uno specialista può essere di aiuto? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Saraò, psicoanalista SPI e presidente della Società italiana di psicoanalisi della coppia e della famiglia

di Paola Emilia Cicerone

da REPUBBLICA- 19 SETTEMBRE 2024

Prima di andare dal giudice o semplicemente quando una relazione va in crisi, la terapia di coppia è uno dei percorsi da scegliere per cercare di risolvere il problema. E spesso il mese di settembre è il momento di fare un bilancio, se le cose vanno bene. E magari decidere di parlare con un esperto.

Ma come si procede e cosa aspettarsi? Perché farsi aiutare da uno specialista può essere di aiuto?

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Saraò, psicoanalista SPI e presidente della Società italiana di psicoanalisi della coppia e della famiglia

 “Siamo nati nel 2000 e facciamo parte delle principali associazioni internazionali del settore, l’Associazione Internazionale di Psicoanalisi della Coppie e della Famiglia (AIPCF) e la sezione Coppia Famiglia della European Federation of Psichotherapy in the Public Sector (EFPP) – spiega Saraò . Oltre a pubblicare la rivista Interazioni, la nostra società promuove formazione con corsi di perfezionamento aperti a psicoanalisti e a psicoterapeuti, purché abbiamo seguito un percorso di analisi individuale”.

Terapia di coppia e terapia familiare sono approcci diversi?

“La coppia coniugale e la coppia genitoriale rimandano a scenari diversi, un conflitto di coppia o una difficoltà a vivere la genitorialità nei delicati passaggi evolutivi della crescita dei figli. Se invece parliamo di terapia familiare, sempre con approccio psicoanalitico, i problemi non riguardano solo i partner ma anche la famiglia e le relative dinamiche; per esempio per conflitti con i figli o altri problemi legati alla crescita, soprattutto quando emergono psicopatologie che necessitano del coinvolgimento dell’intero nucleo familiare. In tali scenari, anche nelle famiglie disfunzionali, le relazioni familiari rappresentano una grande risorsa, pensiamo al contributo del legame fraterno, o alla presenza dell’altro come possibilità di testimoniare un altro punto di vista rispetto a una sofferenza psichica familiare. Il setting rimane comunque psicoanalitico, ma ci si vede vis a vis, con cadenza settimanale e anche la durata della terapia in genere è inferiore, non supera i due/tre anni”.

Quali sono i problemi che portano una coppia ad avere bisogno di una terapia? 

“Si lavora su quello che ogni persona mette all’interno della coppia. Ogni relazione è un mondo a parte, l’incontro di due mondi psichici che cercano punti d’incontro o di scontro: può trattarsi di coppie eterosessuali, oppure omosessuali come succede sempre più spesso. In ogni caso l’obiettivo della terapia sono gli eventi che possono creare difficoltà alla coppia: lutti, malattie, una depressione, la crescita difficile dei figli o il loro svincolo con la sindrome del nido vuoto, tradimenti, o anche problemi sessuali. Insomma tutto quello che genera sofferenza e incomprensione”.

Quando si parla di problemi sessuali, non sarebbe logico rivolgersi a un sessuologo? 

“Il sessuologo si occupa di sessualità in senso stretto, a noi interessa la relazione, di cui la sessualità è una parte importante. Ogni storia di coppia è fatta di aspetti consapevoli e inconsapevoli, ogni coppia è costituita da quelle che Renè Kaes definisce alleanze inconsce: non solo nell’individuo, ma anche nella relazione di coppia ci sono aspetti inconsapevoli, una dimensione inconscia tutta da interrogare. Nell’incontro tra due persone ci sono elementi che hanno a che fare con le fantasie di ognuno, con la storia personale di ogni membro della coppia, con le precedenti esperienze personali. E ogni coppia ha una propria sessualità che non è fatta dalla somma di due ma è molto di più, cambia nel tempo e in relazione ai passaggi del ciclo vitale della coppia. La coppia può curare ma può fare anche ammalare: c’è spesso la difficoltà a mettersi nei panni dell’altro e qualche volta ci possono essere esiti drammatici”.

Anche un tradimento può essere una ragione per venire in terapia? 

“Può succedere, spesso la crisi della coppia è strisciante, si evitano i conflitti, ognuno sta nel proprio mondo; in tali scenari può succedere di incontrare qualcuno che tira fuori aspetti diversi della personalità e fa emergere una crisi di coppia. Ma un tradimento può essere anche un’opportunità per lavorare su quello che non va e rinegoziare i termini della relazione”.

La terapia è l’ultima spiaggia prima di andare dal giudice? 

“È una cosa diversa: in terapia non si tratta di decidere chi ha ragione o chi ha torto, come potrebbe fare un giudice, ma di capire cosa è successo, domandarsi quali bagagli personali ognuno ha portato nel viaggio di coppia, cosa ha messo o non messo in quella relazione. Non si va in terapia per rimanere insieme: in linea di massima i problemi si possono risolvere, ma non deve esserci a tutti i costi, un lieto fine. Ci sono situazioni in cui separarsi è la cosa migliore e la terapia può servire a favorire una separazione meno traumatica, per la coppia ma anche per i figli che spesso diventano il campo di battaglia su cui si scarica l’aggressività reciproca”.

Quindi non ci si devono aspettare suggerimenti su come comportarsi?

“Per definizione una terapia psicoanalitica non dà consigli, non dice cosa fare ma ci s’interroga, attraverso il lavoro degli incontri terapeutici, sul perché accadano certi fatti. L’obiettivo è aumentare i livelli di consapevolezza, e soprattutto far emergere anche alcuni contenuti inconsci che si attivano nella relazione di coppia e favorire un clima in cui c’è la possibilità di parlare con libertà, nel rispetto dell’altro”.

Chi si rivolge più frequentemente alla terapia di coppia? Si arriva insieme o uno dei due solleva il problema? 

“Le donne tendono ad avere un ruolo di primo piano, gli uomini in genere sono più in difficoltà a lavorare su sè stessi. Di solito l’iniziativa parte da uno dei due partner, che è in crisi e vuole capirne di più, l’altro partner non è sempre motivato, ma basta la disponibilità ad affrontare il malessere di coppia, magari c’è semplicemente paura di qualcosa di non conosciuto”.

E si va sempre insieme in terapia, o sono previste sedute individuali? 

“In genere si va insieme, anche se in situazioni di grande difficoltà si possono prevedere sessioni individuali separate, per poi tornare in coppia, mentre non è insolito che uno o entrambi i partner seguano contemporaneamente una terapia personale. Nelle coppie genitoriali invece in alcuni casi, per esempio quando ci sono figli adolescenti, la terapia può trasformarsi in terapia familiare con il coinvolgimento di tutte le parti in causa”.

E il terapeuta è uno solo o si può essere in due a seguire una coppia? Come si evita che i pazienti cerchino la solidarietà di un terapeuta dello stesso sesso, o magari del sesso opposto?

“A volte due terapeuti lavorano insieme, e in questi casi si parla di coterapia. La formazione psicoanalitica del terapeuta serve proprio a mantenere una posizione di equidistanza, a esserci senza farsi risucchiare dalle dinamiche spesso conflittuali di coppia. Per questo la formazione è fondamentale, non si può improvvisare”.

È possibile trovare questo tipo di supporto all’interno delle strutture pubbliche?
“Purtroppo, come spesso accade per i servizi pubblici in Italia, la situazione è a macchia di leopardo. C’è comunque tra gli operatori molta consapevolezza, pensiamo al lavoro che i colleghi dei servizi pubblici fanno con l’infanzia e i tribunali, all’intervento dei consultori o ai servizi di salute mentale con l’attenzione sempre più crescente per il sostegno alla genitorialità in crisi”.