“Quello che sto tracciando è un’analogia tra il contesto nell’ambito superficiale e in parte conscio delle relazioni personali e il contesto nei processi molto più profondi e arcaici dell’embriologia e dell’omologia. La mia tesi è che qualunque sia il suo significato, la parola contesto è una parola appropriata, una parola necessaria alla descrizione di tutti questi processi in lontana relazione tra loro” (Gregory Bateson, 1984, p. 30).
Derivato di contexere (tessere, intrecciare), il termine “contesto” sta a indicare un insieme di elementi tessuti insieme, connessi. Le definizioni che possiamo rintracciare in vari ambiti (linguistico, giuridico, biologico, etologico …) sembrano tutte sottolineare l’insieme, la continuità, la contiguità e la distinzione.
Così nel DI.R. “tessitura, intreccio, complesso di elementi e insieme degli aspetti che identificano… In un discorso o in un’opera il testo è quanto è effettivamente detto e scritto, il contesto è il complesso delle idee e delle motivazioni (e il tono, le caratteristiche) che ne costituiscono il tessuto, l’aspetto distintivo, nel quale una parola o una frase assumono significati che altrove non avrebbero”.
Nel Dizionario di linguistica Einaudi, lo ritroviamo definito nel suo uso più comune come la serie di tutti “quegli elementi dell’intorno linguistico e della situazione comunicativa che permettono di interpretare gli enunciati”. Troviamo però anche precisato come, per evitare questa concezione unitaria, sia in uso far ricorso al termine co-testo per indicare il contesto esclusivamente linguistico, riservando il termine contesto per l’insieme degli aspetti comunicativo-situazionali, cioè all’insieme delle componenti extra-linguistiche.
In questo senso possiamo parlare di contesto interpersonale, contesto intersoggettivo, contesto bipersonale, contesto terapeutico, come di quell’insieme di elementi verbali e non verbali che rendono possibile l’attribuzione di un significato a comunicazioni, comportamenti e azioni. E se è vero che ogni comunicazione ha bisogno di un contesto, perché senza contesto non c’è significato, è anche vero che ogni contesto impone una trasformazione del messaggio, una conformazione contestuale.
“Un individuo entra in ogni situazione con un insieme prestabilito di principi ordinatori, ma è il contesto a determinare a quali di questi principi verrà fatto ricorso per organizzare l’esperienza. L’esperienza viene organizzata da un particolare principio invariante solo quando c’è una situazione che si presta ad essere organizzata in questo modo” (Stolorow D.R, Atwood G.E., 1995).
Considerando adesso l’osservatore, potremo dire che il suo contesto teorico di riferimento è ciò che caratterizza il suo modo di connettere fatti. azioni, idee, è ciò che identifica la sua posizione nel campo osservato. Questo significa che ogni interpretazione è sempre collegata alla posizione assunta dall’osservatore, il cui punto di vista coincide con la scelta di un contesto di decodificazione dei possibili significati che una frase, un comportamento e un’azione possono avere (Ruesch J., Bateson G., 1976). L’osservatore, dunque, crea una cornice di riferimento e costruisce un contesto, che dipenderanno dallo scopo che avrà l’osservatore nel fare queste distinzioni.
Tuttavia il contesto non è solo la cornice teorica che definisce e limita la posizione dell’osservatore, ma è anche l’ambito applicativo che interagendo con la prima la costringe ad un lavoro di revisione. In fondo, anche per il modello psicoanalitico, le svolte teoriche più profonde e più arricchenti sono collegate proprio a nuovi ambiti di applicazione, come l’infanzia. l’adolescenza, i gruppi, la psicosi, la coppia, la famiglia.
Passando alla posizione dello psicoterapeuta o dell’analista, possiamo anche qui sottolineare come sia ormai riconosciuta la sua partecipazione attiva al processo in corso. “I vari modelli interpretativi emergenti nella ricerca psicoanalitica vengono addotti per far luce sullo specifico campo psicologico, posto al punto di intersezione di due soggettività” (Stolorow R.D., Atwood,Interazioni, 2, 10, 1997, pp. 165-170 G.E., Brandchaft B., 1996). Tuttavia anche all’interno di questa posizione relazionale quello che viene sottolineato da molti autori è che si tratta di un punto di vista e di un contesto, da considerare coesistente con altri contesti. In questo senso potremo affermare che ciascun analista e psicoterapeuta in realtà usa “un’ampia gamma di modelli teorici in momenti diversi con i pazienti” e concluderne che è il contesto comunicativo co-creato che evoca il modello più pertinente attraverso cui immaginare il paziente (Bollas C., 1989).