dizionario

Torna a dizionario

Modello di Campo

A cura di: Antonello Correale

Il modello proposto nella psicoterapia di gruppo e nel lavoro istituzionale si basa su una concezione di campo ripresa da Bion, come punto di incrocio tra livello sovraindividuale o transindividuale e livello interindividuale.

L’introduzione del modello di campo in psicologia deriva fondamentalmente da due filoni di matrice l’uno fenomenologico, rappresentato da Merleau Ponty e l’altro, tributario della psicologia della Gestalt, messo a punto da Kurt Lewin.
In particolare K.Lewin propose con vigore che, la vita psicologica di un gruppo potesse essere studiata con frutto adottando alcuni modelli presi a prestito dalla fisica: più specificamente dalle elaborazioni che tendevano a descrivere la vita degli elementi, presenti in un’area comune, non come somma dei movimenti delle singole particelle, ma come forze globali agenti nell’area stessa. Lo spazio viene quindi a configurarsi come un campo caratterizzato più dall’azione di forze che dalla somma di particelle.

La coerente applicazione di questi modelli alla psicologia di gruppo portava dunque ad una forte sottolineatura delle forze maturazionali e collettive, delle spinte affettive condivise. In una parola delle forze sopra individuali caratterizzanti il gruppo stesso.
Una importantissima evoluzione di questo approccio è stata apportata da W.R.Bion, i cui primi studi sui gruppi furono, non a caso, pubblicati sulla rivista Human Relations, che era la portavoce ufficiale del gruppo di Lewin. Si può leggere anzi l’apporto bioniano allo studio dei gruppi come una graduale evoluzione di concetti assunti dalla psicologia della gestalt verso un linguaggio ed una concettualizzazione di tipo psicoanalitico.

Il pensiero di Bion può essere descritto come centrato sull’individuazione di alcune potenti emozioni condivise, che traggono le loro radici da uno stato protomentale che affonda nella matrice biologica dell’essere umano, cui corrispondono alcune fantasie primarie comuni a tutti gli uomini e che danno origine a comportamenti collettivi ad esse ispirati.

Pur non avendo Bion, mai parlato in questi termini, è possibile descrivere il modello di gruppo, da lui messo a fuoco nei termini, anche qui, di un campo cui contribuiscono da un lato gli assunti di base con la loro potenza fantasmatica ed affettiva sovraindividuale e dall’altro gli apporti fantasmatici, affettivi e rappresentativi dei singoli individui.

E’ in quest’ultima concezione di campo – come punto di incrocio tra livello sovraindividuale o trans-individuale e livello interindividuale – che raffiguriamo l’utilità clinica del concetto nel lavoro di gruppo, di famiglia e istituzionale in generale: il modello di campo, infatti, ci permette di cogliere, da un lato gli elementi mentali comuni, raccolti per così dire, in un unico pool condiviso, dall’altro in che modo ogni singolo individuo contribuisce, a seconda della sua modalità di funzionamento psichico, ad alimentare e costruire tale pool e viceversa ad esserne condizionato ed alimentato a sua volta.

Vorrei adesso elencare molto rapidamente alcune aree di lavoro clinico nei settori che ho indicato – gruppo, famiglia ed istituzioni – che mi pare possano ricevere dal modello su indicati una luce particolare.
Richiamerei in primo luogo la suindicata distinzione tra livello gruppale ed individuale. Nell’ottica di abbandono dell’oramai  superata contraddizione tra psicoanalisi in gruppo e di gruppo, il modello campo ci permette di individuare:

  1. quali sono le formazioni collettive presenti in una certa area gruppale;
  2. quali sono i contributi individuali a tali formazioni collettive.

Quest’ottica è particolarmente significativa tutte le volte che siano presenti nel gruppo, nella famiglia e nell’istituzione, climi ed atmosfere particolarmente pervasivi e insidiosi altamente sovraccarichi di connotazioni affettive, ma di difficile interpretazione per quanto riguarda la loro origine da un singolo individuo. Indagare tali sentimenti – ad esempio un clima di terrore o di noia, di pesantezza iperdensa o di fatica – come componenti di un campo, permette di concentrare l’attenzione preliminarmente sull’aspetto condiviso e solo successivamente su quello individuale. Tale procedimento ci mette al riparo dal rischio di operare direttamente sugli individui senza avere precedentemente messo a fuoco le linee di forza operanti nel campo e quindi di poter essere agiti anche noi come conduttori dal campo anziché essere in grado di controllarlo.
Un secondo punto di grande importanza clinica è dato dalla possibilità costruttiva del campo stesso. Se consideriamo infatti i singoli interventi non solo come espressione degli individui parlanti, ma come apporti particolari, singoli mattoni il cui assemblaggio permette la costruzione di una scena collettiva, il campo del gruppo diviene connotato dalle caratteristiche di una specie di mente allargata, che è in grado poi di conferire riconoscibilità e concretezza ad aspetti del pensiero informi, frammentati o caotici. E’ questa una funzione del campo del gruppo che il campo stesso possiede in misura maggiore di una mente individuale e che conferisce quindi allo strumento gruppo – se indagato in questa ottica – alcune potenzialità conoscitive di particolarissimo rilievo.

Vorrei indicare infine l’ultimo punto, di grande rilevanza clinica.
Esistono alcune emozioni, o scene, o vissuti esperenziali dotati di potenza e capacità dirompenti tali che il singolo individuo non è in grado di riconoscere come propri. Tali vissuti – ad esempio una esperienza catastrofica a connotazione psicotica – sono di nuovo avvicinabili dl singolo individuo se vengono preliminarmente collocati nel campo del gruppo, vissuti cioè come raccolti, pensati e ricordati da tutti anziché da un singolo.
Questo processo è di enorme importanza perché può spiegare il potente effetto terapeutico delle strutture gruppali nel campo della psicosi, ma contiene in se stesso elementi di staticità e cronicizzazione se questa collocazione di cui parliamo avviene in modo statico e cristallizzato e non in modo dinamico e modulato. Un corretto esame dello stato del campo in quel momento, delle sue capacità elaborative, della sua «tenuta» emotiva può permettere di prevedere in che misura questa opera di deposito permette all’individuo una graduale reintegrazione delle sue parti scisse e in che misura rappresenta invece una loro evacuazione nel gruppo stesso.
E’ possibile sintetizzare queste poche note sul modello di campo segnalando che esso rappresenta un fondamentale crocevia per indagare la dinamica gruppo-individuo e quindi dare vita ad una modalità tecnica che riesca a tenere conto contemporaneamente del piano collettivo, del piano individuale, del piano interrelazione e di quello istituzionale.


Bibliografia
  • Bion W.R., Experience in Groups and other Papers, Tavistock Publication Ltd,
  • London, 1961 (tr.it. Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1971)
  • Correale A., Il campo istituzionale, Borla, Roma, 1991.
  • Lewin K. (1936), Principi di psicologia topologica, Universitaria, Firenze, 1965.